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Alzi la mano chi ha fiducia nelle istituzioni internazionali e nella loro capacità di risolvere le sfide globali. Forse nella crisi di fiducia verso le istituzioni, le organizzazioni internazionali (ONU, WTO, Fondo monetario, Banca mondiale, ecc.) sono quelle più impopolari.
Anche verso i principali problemi ambientali si ricordano molte solenni dichiarazioni e pochissimi impegni concreti ed efficaci.
E tuttavia si può ignorare la dimensione globale? Si può pensare che problemi di portata planetaria, come il riscaldamento globale o la perdita di biodiversità, si possano affrontare prescindendo da accordi che impegnino tutti i soggetti, dagli stati alle imprese, dalle organizzazioni ai singoli cittadini?
Viviamo in un mondo globalizzato ed interconnesso dove i rischi globali possono emergere dal livello locale ed interagire con altri fattori di rischio, dando origine a crisi sistemiche potenzialmente incontrollabili. La nostra memoria conserva ancora traccia del rischio del conflitto nucleare, di pandemie, di crisi economico-finanziarie, di crisi ambientali.
Uno studio della Global Challenges Foundation mette a confronto le capacità della governance globale con i rischi ambientali globali, per ricavare dalla bibliografia esistente idee e proposte per rafforzare la capacità di risposta della comunità internazionale.
Nella parte centrale dello studio vengono analizzate le sei sfide chiave alla governance globale.
La prima sfida è il superamento delle situazioni di stallo, causate principalmente dal conflitto tra interessi internazionali e nazionali, e tra gli interessi tra le nazioni del Nord e quelle del Sud, come evidente, ad esempio, nei negoziati sul clima. Le idee raccolte dalla bibliografia esaminata sono il collegamento tra temi diversi, in modo che un paese penalizzato da un negoziato possa trovare compensazione su un altro piano, l’approccio “per club” in cui la negoziazione viene inizialmente riservata a gruppi ristretti di volonterosi, con l’obiettivo di scalare ed estendere i risultato ottenuti nel contesto più favorevole a platee ben più ampie, e la profonda riforma del sistema istituzionale attuale, prevedendo per esempio la costituzione di un’Organizzazione Ambientale mondiale, con competenze e prerogative pari a quelle dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
La seconda sfida è lo sviluppo di principi e norme di validità generale mirate a ridurre i rischi. Un esempio sono il principio di precauzione o quello del “paga l’inquinatore”, già fatti propri da documenti internazionali. La strada indicata è quello di dirigersi verso una Legge sui diritti umani universali, entro cui riconoscere anche i diritti ambientali, da far valere in corti internazionali con pieno potere giurisdizionale.
La terza sfida riguarda la possibilità che si manifestino crisi improvvise al superamento di soglie critiche non precedentemente note, secondo principi e modalità messe in luce dalla scienza dei sistemi complessi. Una rete di attori agenti a livelli differenti ed in grado di coordinarsi e scambiarsi informazioni e competenze, potrebbe avere la flessibilità e rapidità di risposta richiesta in questi frangenti, eventualmente aiutata da sistemi di osservazione, raccolta ed organizzazione dei dati per intercettare segnali deboli anticipatori di possibili crisi.
La quarta sfida è indotta dalla frammentazione del quadro istituzionale, in cui operano agenzie competenti ciascuna per uno specifico settore, poco propense a collaborare e costruire visioni comuni e spesso molto asimmetriche nei poteri d’intervento. Un esempio molto citato è l’asimmetria tra il WTO, regolatore del commercio internazionale, e le agenzie ambientali, perché le regole del WTO sono vincolanti per gli Stati, con pesanti sanzioni previste per le violazioni, al contrario delle norme ambientale, che in più devono soggiacere alle regole del WTO creando una gerarchia di fatto tra commercio e ambiente, tutta a favore del primo.
 La quinta sfida riguarda la capacità di produrre innovazione, soprattutto di tipo istituzionale e la sesta, cruciale, è il miglioramento della legittimazione. Su questo piano si scontrano approcci diversi, non inconciliabili in linea di principio, tra chi sostiene un modello di democrazia cosmopolita fondata su una cittadinanza globale, chi propugna la formazione di un governo mondiale, i sostenitori della democrazia deliberativa, che affianca processi partecipativi alle forme istituzionalizzate di esercizio democratico, ed infine il modello centrato sugli Stati con una collaborazione multilaterale rafforzata.
 
 
Global Challenges Foundation – Connected risks, connected solutions.- www.stockholmresilience.org/21/research/research-news/12-1-2014-connected-risks-connected-solutions.html
 
 
                                                                                  Fulvio Fagiani

 

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