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Il primo di maggio dell’anno prossimo, forse, EXPO2015 aprirà le sue porte. Sono passati più di sei anni dall’assegnazione dell’esposizione a Milano ed EXPO ha conquistato l’attenzione del pubblico e dei media per molte ragioni, non tutte edificanti: le opere pubbliche di cui avrebbe favorito la costruzione, la destinazione post-evento dei terreni, i ruoli di governo e di comando, gli appalti con triste corte di tangenti e malaffare. Più recentemente l’indotto turistico della manifestazione, con la preoccupazione che l’Italia avrebbe potuto mancare l’occasione di accogliere degnamente i milioni di visitatori non presentandosi tirata a lucido.
E’ sfuggito il significato di EXPO. Che cosa significa un’esposizione universale nell’era di Internet e della comunicazione globalizzata? Che cosa può comunicare il nostro paese con questo evento?
Intanto un dato è certo: i paesi partecipanti ad EXPO dovrebbero essere 144, un record assoluto per questa manifestazione. Ad oggi, ci viene detto, hanno già staccato il biglietto oltre 7 milioni di visitatori, di cui un milione in arrivo dalla Cina.
Milioni di persone provenienti da ogni angolo del mondo che si distribuiranno nelle aree attorno ad EXPO per un raggio di parecchi chilometri, non fosse altro che per ragioni di pernottamento. Ecco dunque un primo significato: EXPO è, almeno in potenza, un grande momento d’incontro tra popoli e culture, la vicinanza fisica ed il contatto diretto nel mondo delle relazioni virtuali. Non ci conosceremo attraverso le rappresentanze istituzionali e gli stereotipi, le vicende dell’alta politica ed i conflitti; ci conosceremo in presa diretta, anzi abitanti di 144 paesi o più, conosceranno noi e la nostra cultura, il nostro territorio ed i nostri paesaggi.
Non posso che esprimere insoddisfazione nel constatare che questo incontro è mediato in via esclusiva dalle aspettative turistiche e del volume d’affari conseguente. Non ho nulla contro il turismo, cui anzi abbiamo dedicato proprio l’ultimo Forum nel maggio di quest’anno.
Ma non posso dimenticare che siamo un paese ricco di una storia millenaria che ha ospitato civiltà grandiose, momenti culturali che hanno ispirato tutta l’umanità, come testimoniano, malgrado la trascuratezza, molta parte del nostro paesaggio e delle nostre memorie storiche. Forse siamo abituati a considerarli semplice leva competitiva nel mercato turistico, ma sono invece l’essenza della nostra identità e parte essenziale della cultura universale.
Possiamo lamentare che le autorità siano state inattive o insensibili, ma se noi stessi siamo i primi ad essere inconsapevoli ed indifferenti, non possiamo disfarci delle nostre responsabilità.
Se ci guardiamo attorno il nostro paesaggio porta ancora i segni di una cura meticolosa e dell’attenta modellazione per soddisfare le esigenze vitali in un dialogo costante con le risorse naturali. Le epoche storiche ci hanno lasciato testimonianze preziose e continue, dagli edifici e monumenti conosciuti in tutto il mondo, alle opere minute, la cappelletta, il lavatoio, il mulino. Anche in un territorio di pochi chilometri quadrati possiamo ripercorrere le epoche passate, dagli insediamenti preistorici fino ai giorni nostri, leggendo la storia dei grandi eventi come della quotidiana vita materiale e spirituale delle generazioni che ci hanno preceduto.
I terrazzamenti ormai abbandonati ed inselvatichiti ci ricordano il tempo in cui l’agricoltura strappava ogni metro utilizzabile alla natura, le fabbriche dismesse e diroccate richiamano alla mente la prima industrializzazione, fin dall’Ottocento, o ancora prima, per la produzione di filati, tessuti, carta.
Possiamo essere buoni ospiti e capaci d’incontro solo se siamo consapevoli della nostra identità e dei suoi segni.
Forse questo viene prima di qualche chilometro di asfalto o di euro in più strappato a chi viene a conoscerci.
 
 
 
                                                                                  Fulvio Fagiani

 

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