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L’esperienza sta insegnando che l’effetto più positivo dei grandi meeting internazionali sono i lavori di preparazione. A Rio 2012, ventennale della conferenza del 1992 che lanciò in grande stile lo sviluppo sostenibile con il supporto di 180 capi di Stato, il copione sembrava già scritto con largo anticipo.
Nulla di fatto se non la solita generica dichiarazione limata fino alle virgole dagli “sherpa” di turno. Tra i leader mondiale hanno fatto capolino solo il primo ministro cinese ed il Presidente francese Hollande; l’Italia era rappresentata dal ministro Clini.
Anche l’Europa ha giocato un ruolo di bassissimo profilo, a conferma della paralisi delle idee europee prima ancora che delle sue istituzioni.
Eppure alla conferenza si erano rivolti con molte speranze molte organizzazioni internazionali e larga parte del mondo scientifico.
Non si contano le prese di posizione, i documenti, gli appelli, gli studi e le ricerche che la comunità scientifica ha riversato sui partecipanti al summit delle Nazioni Unite.
Dalla conferenza scientifica di Londra “Placet under pressure”, alla prestigiosa Royal Society (dove presentarono i loro lavori Newton e Darwin), a IAP, il network mondiale delle Accademie delle Scienze, a tantissimi altri di cui è impossibile tenere il conto, l’evidenza dei problemi da affrontare e l’urgenza di trovare soluzioni sono stati portati all’attenzione di chi ha desiderio di ascoltare.
Tra la mole impressionante di testimonianze, scegliamo due documenti per l’autorevolezza degli estensori e la completezza delle analisi: il Living Placet Report 2012 del WWF e GEO5 dell’UNEP, aggiornate fotografie dello stato dell’ambiente planetario e dei rimedi che si dovrebbero attuare per frenare le tendenze più gravide di pericolose conseguenze.
Tratto comune è la sottolineatura dell’insufficiente reazione e del rischio di superare soglie critiche oltre le quali i fenomeni indicati diventano irreversibili ed incontrollabili.
Se i dati sul riscaldamento globale sono, almeno in parte, conosciuti, non è così per la biodiversità, misurata con particolare cura dall’indice “Living Index”, che registra un declino delle popolazioni e delle specie esaminate pari al 28% dal 1970 ad oggi. Rileviamo frequenze di scomparsa tipici delle grandi estinzioni di massa del passato.
Se da un indicatore parziale prendiamo in esame un indicatore riassuntivo come l’impronta ecologica, il quadro non è migliore.
L’impronta ecologica misura le principali pressioni sulle risorse del pianeta come unità di superficie necessaria a soddisfare i bisogni umani. Nel 1970 la pressione cumulata era equivalente alle risorse disponibili, sia per i prelievi (terre per pascolo e coltivazione, foreste, edificato, pesca) che per i rifiuti (foresta necessaria per sequestrare il carbonio emesso con la combustione dei fossili).
Nel 2008 la pressione supera del 50% le risorse disponibili. E’ come se per soddisfare i bisogni attuali dell’umanità usassimo 1 pianeta e mezzo, erodendo le riserve dei nostri figli e nipoti. Di questo passo, stima lo studio, nel 2030 avremo bisogno di due pianeti.
Un’altra risorsa sottoposta a prelievi superiori alla capacità di generazione è l’acqua dolce, essenziale fondamento della vita.
Per non parlare delle foreste, degli oceani, delle riserve ittiche, e così via.
Questa lettura dimostra con dati ed elaborazioni, che non dobbiamo correggere solo il sistema energetico per trasformarlo in un sistema che faccia a meno dei fossili, ma che è la somma di tutte le domande di materia ed energia che va oltre i limiti insuperabili di un pianeta finito.
 
Resta una riflessione per tutti.
Gli impegni solennemente assunti venti anni fa non sono stati manifestamente mantenuti perché lo stato globale dell’ambiente, lungi dal migliorare, è su una traiettoria di crescente insostenibilità . Oggi assistiamo al mancato dialogo tra due mondi incomunicanti: da una parte la comunità scientifica, pienamente consapevole dei problemi ed oggi in grado di portare conoscenze ben documentate, dall’altro la politica e l’economia avvitate su stesse, sorde ad ogni richiamo della ragione e del buon senso, chiuse in prospettive di brevissimo periodo ed indifferenti alla sorte delle future generazioni.
Bisogna trovare il l’energia ed il senso di responsabilità per uscire da questa trappola.
 
Il sito del Global Environment Outlook (GEO5) è   www.unep.org/.../geo5.
Il sito da cui scaricare il Living Placet Report è wwf.panda.org/about_our_earth/all_publications/living_planet_report/2012_lpr.
 
 
 
                                                                               Fulvio Fagiani
 

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