Clima? Anche i grandi ci pensano.


Ne parlano Obama e Renzi ed anche i media si accorgono del cambiamento climatico.
Ad un anno di distanza dalla Conferenza di Parigi che, a dicembre 2015, dovrà decidere il nuovo accordo globale per limitare le emissioni di gas serra, il Segretario delle Nazioni Unite Ban Ki Moon ha voluto il “Summit del clima 2014” per sensibilizzare i Grandi del mondo.
Come sempre avviene in queste occasioni, il vertice mondiale è stato preparato da documenti elaborati dalla comunità scientifica per fare il punto.
I numeri1 crudi dicono che nel 2013 le emissioni da combustibili fossili sono cresciute del 2,3% rispetto al 2012, toccando livello più alto della storia, superiore del 61% al livello del 1990. La classifica dei peggiori inquinatori è guidata dalla Cina con il 28% delle emissioni globali, seguita dagli USA con il 14%, quindi da Europa (10%) ed India (7%).
Il volume delle emissioni continua a crescere anno su anno e le previsioni future non inducono all’ottimismo: seguendo questa traiettoria la temperatura media globale sarà nel 2.100 superiore a quella odierna da 3,2 a 5,4 °C.
Chi pensa che sia come passare da una stagione all’altra può leggere in uno dei documenti2 indicati a fondo pagina quali conseguenze possa comportare per l’umanità un riscaldamento di quell’entità.
In un altro testo3 predisposto per il vertice, si capisce quale debba essere la trasformazione che dobbiamo affrontare se vogliamo che l’aumento di temperatura non superi i 2°C rispetto all’era preindustriale, il livello ritenuto dalla comunità internazionale la soglia invalicabile.
Oggi le emissioni procapite sono 5,2 tonnellate, con una distribuzione molto iniqua, esemplificata dalle 16 tonnellate emesse da un americano e le 2 da un indiano.
L’obiettivo dovrà essere convergere verso 1,6 tonnellate nel 2050.
Questo dato fa capire quale profonda trasformazione del sistema energetico e produttivo, della mobilità, dell’agricoltura, dell’uso del suolo sia necessaria.
Il fatto saliente è che questa trasformazione è possibile anche con le tecnologie già disponibili, ma dobbiamo impegnarci subito.
Ogni anno s’investono centinaia di miliardi di dollari in infrastrutture per la produzione di energia e la mobilità, infrastrutture che dovranno poi durare decenni. Se queste infrastrutture asseconderanno ancora il consumo di combustibili fossili renderanno impossibili i cambiamenti necessari (è il problema chiamato tecnicamente del “lock-in”).
Dobbiamo invece orientarci verso scelte a “basso contenuto di carbonio”, cioè fondate sull’efficienza energetica, la generazione di elettricità da rinnovabili, il passaggio a combustibili a basse emissioni.
Gli autori ritengono che si debba costruire una forte volontà politica attorno a questi obiettivi, abbracciando una visione di lungo periodo, non limitata al periodo 2020/2030 come avviene nelle negoziazioni internazionali. Solo con un orizzonte così ampio si possono progettare cambiamenti così imponenti, come la conversione del sistema energetico e delle sue infrastrutture per la produzione, trasmissione, distribuzione e consumo dell’energia.
Gli scettici ritengono che la strategie di riduzione delle emissioni di gas serra comprometteranno le prospettive economiche, facendo credere all’equazione “lotta ai cambiamenti climatici = povertà”.
Una Commissione di esperti messa al lavoro da sette governi (Colombia, Etiopia, Indonesia, Norvegia, Corea del Sud, Svezia e Regno Unito) ha lavorato sul tema clima/economia ed è giunta a conclusioni diametralmente opposte.
Nel suo primo report4 la Commissione propone un Piano d’Azione Globale in 10 punti per conciliare crescita economica e contenimento del riscaldamento globale entro il limite dei 2 °C da avviare senza ritardi, perché la partita si deciderà nei prossimi 10/15 anni.
Tra i punti indicati nel Piano la cancellazione dei sussidi alle fonti fossili, che ora ammontano globalmente a circa 600 G$/anno contro i 100 G$ di sussidi alle energie pulite, l’introduzione di un prezzo al carbonio prevedibile e crescente, l’abbattimento delle barriere all’innovazione, l’abbandono delle centrali energetiche a carbone, ed altri ancora.
La strada è lunga e difficile, ma la posta in palio non ci permette esitazioni.
 
 
1.    Global Carbon Budget - www.globalcarbonproject.org/carbonbudget
3.    Pathways to deep decarbonisation - http://unsdsn.org/what-we-do/deep-decarbonization-pathways/
 
 
Fulvio Fagiani