Durban: dove sarà mai?


La stampa ed i media non ci hanno aiutato a ripassare la geografia, perché di Durban quasi nessuno ha parlato.
In questa popolosa città sudafricana, le Nazioni Unite dovevano decidere come dare continuità agli impegni del protocollo di Kyoto, che scade nel 2012.
I commenti dei media e dei siti specializzati si dividono equamente tra chi lamenta le insufficienze delle decisioni prese e chi festeggia lo scampato pericolo.
Qui ci limitiamo a fornirvi le informazioni di base, rimandando gli approfondimenti a fonti specializzate.
Il protocollo di Kyoto impegnava i paesi industrializzati a ridurre le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990. La Conferenza di Durban doveva decidere nuove riduzioni delle emissioni per tutti i paesi.
Si sono confrontati diversi schieramenti: nettamente contrari a limiti vincolanti (cioè sottoposti a sanzione in caso di mancato rispetto) gli Stati Uniti, Canada, Russia, India.
Favorevoli Europa, Africa e piccole isole. A metà strada la Cina il Brasile ed altri paesi.
Si è deciso per un compromesso: si dovrà approvare entro il 2015 un nuovo accordo globale, con valore legale, da applicare a partire nel 2020.
Quindi dal 2012 al 2020 non ci saranno regole vincolanti di riduzione delle emissioni.
Prima della conferenza UNEP, il programma ambientale delle Nazioni Unite, aveva pubblicato uno studio secondo il quale le emissioni previste volontariamente dagli Stati portano lontano dall'obiettivo di contenere entro 2 °C l'aumento della temperatura media globale rispetto a quella dell'età preindustriale.
Anche l'agenzia dell'OCSE che si occupa di energia, ha presentato a novembre le sue previsioni, sostenendo che “la finestra per contenere l'aumento di temperatura entro i due gradi si sta chiudendo” e che le tendenze attuali ci portano ad un aumento di 6 °C, come mostra la figura in allegato.
Da entrambi gli studi (e da molti altri) si ricava che se si vuole centrare l'obiettivo dei 2 gradi bisogna agire subito ed ogni ritardo verrà pagato con una crescita delle emissioni che porterà a temperature ben più elevate.
Di fronte a decisioni di portata planetaria ogni Stato dà priorità ad interessi diversi.
I paesi produttori di petrolio ostacolano ogni cambiamento del sistema energetico.
Alcuni paesi industrializzati capeggiati dagli Stati Uniti sono condizionati dalla crisi finanziaria.
La Cina e l'India intendono salvaguardare lo spazio della loro crescita economica.
I paesi poveri dell'Africa e le piccole isole, che subirebbero i danni maggiori dal riscaldamento globale, premono per ridurre le emissioni entro livelli di sicurezza.
L'Europa, per una volta, ha giocato un ruolo da protagonista confermando i suoi obiettivi di sviluppo economico entro limiti ambientali.
I dati forniti dalla comunità scientifica ci dicono che non possiamo pensare di oltrepassare il limite dei 2 °C e che dobbiamo quindi ridurre le emissioni da subito. I risultati del protocollo di Kyoto (si veda lo studio del CCR citato in bibliografia) ci dicono che è possibile ridurre le emissioni.
Di fronte a questi scenari globali ognuno di noi si domanda quanto può contare la sua voce, una su sette miliardi di persone.
Proprio l'esempio del protocollo di Kyoto ci dice che conta.
In due modi: dando l'esempio, con comportamenti individuali più attenti, ed usando lo spazio pubblico per far valere la volontà di consegnare ai nostri figli un pianeta ancora vivibile.
 
                                                           Fulvio Fagiani
 
                       
Fonti:
  1. UNEP - Bridging the emission gap report – www.unep.org
  2. IEA – World energy outlook 2011 – www.iea.org
  3. JRC – Long term trend in global CO2 emissions – http://edgar.jrc.ec.europa.eu
  4. Carbon budget 2010 – www.globalcarbonproject.org

 

 

Allegato: http://www.agenda21laghi.it/public/IEA.jpg